Nel nuovo mondo digitalizzato tutto sembra possibile. Anche quello che in realtà non lo è
Trasparenza, digitalizzazione, istantaneità. La nostra era è tutta riassunta qui, in queste semplici tre parole. La nostra realtà digitale, il nostro nuovo essere cittadini 3.0, ha creato una comunità nuova, moderna, strana. Le cui regole, però, devono essere ancora scritte.
Perché se da un lato è vero che è bello essere sempre connessi, ascoltare la nostra musica preferita dove vogliamo, chattare con i nostri amici in ogni parte del mondo e leggere qualsiasi cosa in qualsiasi momento, dall’altro non mancano i rischi. Siamo immersi, connessi costantemente. Come faceva notare però Derrick De Kerckhove, nel suo pezzo divulgato da Il Sole 24 Ore, dopo secoli di privacy, conquistata con oltre duecento anni di guerre e cambiamenti politici, la gente sta perendo il controllo della sua sfera privata. Questo perché ci piace essere raggiungibili ovunque, ma essere rintracciati vuol dire prima di tutto essere tracciati. I dati di tutti i nostri movimenti, le nostre azioni on e off line, i nostri gusti, i nostri interessi, vengono costantemente registrati in archivi e in banche dati. Non a caso il grande business del futuro si chiamano proprio Big Data.
Il problema è che l’utilizzo che facciamo di certi tipi di tecnologie è anche un uso etico. Perché l’etica individuale diventa, grazie alla tecnologia di oggi, un’etica sociale. Le regole di internet non sono fissate in modo univoco e chiaro per tutti, il risultato è che nessuno sa cosa deve mantenere e cosa deve rispettare. Dobbiamo quindi innanzitutto essere preparati, ricevere o richiedere un’educazione corretta, un’alfabetizzazione digitale proprio perché niente vieta niente in rete, manca un codice di convivenza civile.
Un problema etico su cui si interrogava il Garante della Privacy a proposito delle challenge su TikTok, ad esempio: è un sacrificio necessario quello di rinunciare alla privacy in favore della sicurezza. Oppure, passando dai social al gambling, una questione aperta che è stata risolta proprio in questi giorni. In Inghilterra, ad esempio, è stato adottato un pacchetto di misure nella progettazione delle slot machine con dei parametri da rispettare: velocità di gioco da rallentare e funzionalità controverse da bloccare. Niente più modalità turbo o multi slot, sì invece a un’etichettatura più comprensibile, aperta e chiara.
Piccoli passi in avanti nell’opera di progettazione e ideazione di un mondo virtuale più sicuro, più giusto e soprattutto più etico. Perché senza regole scritte c’è il rischio di anarchia. Un’anarchia 2.0, per carità, ma con gli stessi rischi di quella antica.